Il fenomeno del crowdfunding, in Italia, non è ancora esploso così come negli Stati Uniti, sono ancora limitate, infatti, le donazioni che vengono effettuate per mezzo di questo strumento di finanziamento di massa. Chiunque, persona fisica o giuridica, può rivolgersi alle folle per chiedere un contributo economico finalizzato alla realizzazione di un progetto in cambio di un bene, un servizio o altro.
Se il soggetto promotore della campagna di Crowdfunding è una persona fisica, è chiaro che non ci si dovrà preoccupare di nessun aspetto contabile o quasi. Infatti, ai fini IRPEF il reddito tassabile da tenere in considerazione è quello dei “redditi da lavoro autonomo”, categoria giuridica redditi derivanti dall’esercizio abituale (anche se non esclusivo) di arti e professioni e dall’utilizzazione economica di opere di ingegno e di brevetti industriali se non conseguiti nell’esercizio d’impresa.
Qualora la campagna di Crowdfunding fosse mirata ad un aumento di capitale per la srl costituita, allora, a fronte del versamento del capitale si dovrà assolvere un’imposta fissa di registro di Euro 200 e nulla più.
Se il caso è quello di una impresa profit che utilizza come modello di raccolta il reward o il donation crowdfunding, dobbiamo necessariamente partire da un presupposto: “le sopravvenienze attive straordinarie concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui siano state incassate.” Ai fini delle imposte sul reddito delle società esse produrranno quindi un aumento del reddito ante imposte, di conseguenza una maggiore tassazione.
Ai sensi dell’Art.88 TUIR è prevista la rateizzazione delle sopravvenienze nell’arco di 5 esercizi, misura che consente la distribuzione degli oneri fiscali con registrazione contabile delle c.d. “imposte differite”.
Oltre gli adempimenti fiscali riguardanti l’IRES, qualora l’impresa abbia raccolto risorse finanziarie con il meccanismo del pre order, dovrà essere considerato anche l’incidenza dell’IVA.
Attraverso una lettura del D.P.R. 633/72 che regola la soggezione delle operazioni commerciali alla disciplina dell’imposta sul valore aggiunto: “in caso di attività organizzata e continua che abbia valore consistente, dovrà considerarsi sussistente il requisito della professionalità con la conseguente soggezione al regime dell’imposta sul valore aggiunto nella cessione di beni o servizi.” L’impresa, dunque, come nel caso di qualsiasi tipo di bene o servizio fornito dovrà emettere regolare fattura, contabilizzando e versando la corrispondente IVA al Fisco.
L’art 6 del D.P.R. 633/72 stabilisce, inoltre, che “le cessioni di beni o servizi si considerano effettuate nel momento della consegna o spedizione del bene se riguardano beni mobili, nel caso dei servizi l’operazione diviene effettiva, e quindi imponibile, all’atto del pagamento del corrispettivo.” La fatturazione per i beni mobili forniti come controprestazione rispetto alla donazione dovrà, dunque, avvenire al momento di effettiva cessione della proprietà del bene, cioè alla sua spedizione o consegna.
Diversa è la disciplina che il nostro Legislatore riserva alle imprese no-profit.
E’ opportuno precisare che gli enti no-profit sotto il profilo fiscale possono assumere sia la qualifica di enti commerciali che non commerciali, ai sensi dell’art. 73, comma 1, del TUIR.
L’elemento che ci consente di individuare il regime fiscale corretto da poter applicare è la c.d. “commercialità delle attività svolte”.
Qualora l’ente non lucrativo svolga prevalentemente un’attività di natura commerciale rientrante tra quelle definite dall’art. 2195 del c.c., così come stabilito dall’art. 55 del TUIR, allora l’ente sarà considerato commerciale benché dichiari finalità non lucrative.
La prevalenza dell’attività commerciale rispetto a quella istituzionale si ricava dai datti presenti nell’atto costitutivo o nello Statuto se esistenti in forma di scrittura pubblica o da scritture private autenticate.
Qualora tali documenti non fossero disponibili andrà verificata l’effettiva attività svolta dell’ente concretamente. Inoltre, indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente no-profit che per un intero periodo d’imposta esercita prevalentemente attività commerciale, perde la qualifica di ente non commerciale ex lege,
Per gli enti non commerciali il reddito imponibile deve essere determinato sulla base degli artt. 143 e seguenti del TUIR, mentre per gli enti commerciali dovrà essere determinato sulla base degli artt. 81 e seguenti del TUIR.
Se l’ente si qualifica come commerciale, il reddito, qualsiasi sia la sua provenienza, dovrà essere considerato reddito d’impresa e, dunque, tutti i proventi derivanti dalla campagna di crowdfunding subiranno lo stesso trattamento previsto per le imprese profit oriented descritto in precedenza.
Se l’ente si qualifica come non commerciale, viene in soccorso l’art. 143 del TUIR che afferma: “non sono tassabili i fondi pervenuti ai predetti enti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione”.
Da sempre, già da ben prima dell’esistenza del meccanismo del crowdfunding, il concetto di “raccolta fondi” è la principale fonte di finanziamento dell’attività degli enti no profit.
La disposizione del comma 3 dell’art. 143 mira, quindi, ad incentivare tale forma di finanziamento, sottraendola all’imposizione ai fini delle imposte sui redditi e da qualsiasi altro tributo erariale o locale, a patto che sussistano determinate condizioni contemporaneamente: le campagne di crowdfunding devono essere iniziative occasionali, la raccolta fondi deve avvenire in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione, i beni ceduti eventualmente nell’ambito della raccolta devono essere di modico valore.
Ad oggi le principali piattaforme di crowdfunding sono Kickstarter, gigante del crowdfunding mondiale, con oltre due miliardi di dollari raccolti nei primi sei anni di attività e Indiegogo.
Altre piattaforme in Italia attive sono Eppela, Kapipal, Starteed e Wedo.