Riccardo Genova è un ragazzo siciliano di 29 anni. Si è diplomato como Perito informatico, ma – barcamenandosi fra diverse facoltà universitarie, una miriade di lavori diversi, mille difficoltà e un’esperienza in Erasmus – adesso si occupa di “growth hacking” presso Fattura24. Ha partecipato nella qualità di Fouder Startuppario al primo incontro di #Startupcourse.it, raccontandoci di se stesso e di come ha vissuto l’avventura di startupper.
Anthony: “Ciao, Riccardo. Secondo te, cos’è una startup?”
Riccardo: “Ciao, Anthony. Credo che la definizione migliore di startup l’abbia data Steve Blank, che la definisce come un’organizzazione temporanea in cerca di un business model scalabile, redditizio e ripetibile.”
A: “Cos’è il business model?”
R: “Non è altro che un modo mediante il quale l’azienda o la startup trova i soldi. Adesso di sente molto parlare del business model canvas, che, al contrario del business plan, è uno strumento che rende una fotografia istantanea della startup, identificando competitors, costi, potenzialità di mercato e, quindi, dove realizzare guadagni.”
A: “Perché, secondo te, il modello del business plan non può funzionare?”
R: “C’è una bellissima frase di Peter Thiel, che definisce il business plan come una serie di ipotesi non verificate, ovvero un imprenditore o un aspirante tale, quando avvia un’impresa, non può sapere a priori quale sarà il suo business nei successivi tre anni, per cui seguire una ricetta scritta molto tempo prima non ti permette di avere una situazione reale dell’azienda. Tutte quelle che oggi si definiscono startup – ma che in realtà non lo sono, per esempio Facebook – hanno il mindset di una startup, pur non essendo delle organizzazioni temporanee, ma adoperano strategie e strumenti propri delle startup, come il business model canvas. Anzicché avere una serie di fogli che ti danno delle proiezioni sul futuro, hai dei fogli che ti identificano istantaneamente la startup in più periodi. Significa sapere chi sei, non chi sarai.”
A: “Perché un così alto numero di startup fallisce? Si parla del 95% entro il primo anno.”
R: “Il mio personale pensiero è che molti imprenditori, una volta lanciata l’impresa, tolgono l’orecchio all’attenzione dei clienti, concentrandosi su brand, pubblicità, marketing. Si perde, quindi, quel dialogo con l’utente che serve per capire quali sono le sue esigenze. Una frase dello stesso Peter Thiel, che ha scritto il libro Da zero a uno, dice che se un prodotto è un buon prodotto, non ha bisogno di marketing.”
A: “Tu di cosa ti occupi?”
R: “Io non ho una startup, ma ho tante iniziative nel mondo startup, come Startuppario, un semplice dizionario in cui vengono racchiusi tutti i termini chiave del mondo startup che una persona che fa impresa o che vuole farla deve assolutamente conoscere. In qualità di sviluppatore full stack e growth hacker seguo Fattura24, che è una web app che gestisce la contabilità di piccole e medie imprese, e da circa sei mesi faccio scouting su chi ha un’idea, ma non sa come utilizzare la propria idea o far crescere la propria azienda; in sostanza mi faccio carico del problema, sviluppando delle collaborazioni che a volte sono in equity, a volte sono semplici collaborazioni free lance, allo scopo di portare valore all’interno di un’azienda, che può essere un approccio innovativo, una metodologia, strumenti, programmazione o una nuova strategia di marketing.”
A: “Cosa ti ha spinto ad intraprendere questa esperienza innovativa?”
R: “La voglia di essere padrone di te stesso è ciò che fa la differenza, ma nel momento in cui decidi di voler diventare padrone di te stesso devi diventare anche consapevole dei rischi del caso. E’ molto facile trovare lavoro presso un’azienda, nella misura in cui tu riesci a comunicare qual è il tuo valore, quindi se esci fuori dagli schemi, dall’essere un semplice dipendente che, una volta finito l’orario di lavoro, non vuole sapere più niente dell’azienda: in quel caso non porti alcun valore. La voglia di essere padrone di te stesso ti fa entrare in un mindset in cui hai tutta una serie di consapevolezze; se io porto a casa il pane a fine mese, ad esempio, è solo merito mio; se ho una determinata credibilità, se le aziende mi cercano, è per merito mio e non perché un’azienda mi paga per portare a casa dei risultati che predetermina l’azienda stessa. Sono io a decidere quali risultati portare a casa, a sapere quali sono i rischi correlati e i sacrifici da fare. Trovano molto più facilmente lavoro quelle persone che sanno “vendersi” alle aziende, comunicare il loro valore, ma che soprattutto hanno un valore, che ti costruisci, non perché hai un titolo di laurea, ma perché, anche se lavori per un’altra azienda, sai che tutto quello che porti a casa è merito tuo. Per cui stai a casa e studi, anche dopo aver terminato l’università, anche dopo una giornata di lavoro. Il problema principale è che molti ragazzi spendono male i loro soldi, spendono male il loro tempo, e tempo e soldi sono il nostro bene più prezioso. Sopratutto il tempo: perché i soldi li puoi sempre guadagnare, ma il tempo perso non lo recuperi più. Saper spendere bene il proprio tempo imparando è quello che fa la differenza!”
A: “Concludendo, qual è il messaggio che vorresti dare a chi vuole affacciarsi a questo campo?”
R: “E’ molto semplice e viene racchiuso nel mio motto: the more you learn, the more you earn.”