Che l’Italia sia la quarta economia europea e che sia seconda solo alla Germania per produzione industriale ce lo dicono fin dalle prime lezioni di geografia, quando tutti i paesi producevano barbabietola da zucchero o roba simile.
Oggi, però, pare che l’economia italiana stia seguendo un nuovo volano (termine tanto caro agli economisti): le startup.
Al 30 Giugno 2017 in Italia esistono 7.394 Startup innovative iscritte nell’apposita sezione del Registro delle Imprese con un’occupazione vicina alle 25.000 unità. Se solo pensiamo che a Milano ci sono 1.100 Startup contro le “sole” 620 di Berlino sembrerebbe che la Silicon Valley da adesso abbia la nebbia e sia sotto il protettorato di Sant’Ambrogio, eppure le Startup rappresentano ancora lo 0,46% della nostra economia.
Partiamo dalle definizioni.
Io, per primo, quando mi chiedono cosa sia una Startup rifuggo dalla definizione giuridica o economica e mi appello più ad un mindset salvo poi approfondire, per forza di cose e nelle sedi opportune, le due definizioni poc’anzi allontanate.
Il punto è il seguente: chiunque apra una partita IVA sembra uno “startupper” in Italia, a prescindere dal fatto che abbia dato vita ad un’innovazione tecnologica o di processo industriale o che abbia creato un servizio innovativo o che abbia creato un marketplace dove vendere pesce a peso (pescivendolo ma non startupper, ndr). Ricordiamoci che una startup oggi ha due grandi obiettivi: innovare e scalare offrendo prodotti o servizi avanzati potenzialmente per un mercato globale. L’Italia, oltre ai problemi definitori, ben più avanzati in altri Paesi europei, ha anche un altro problema: il “mismatch” tra lavoro e competenze.
In sostanza, c’è un divario tra ciò che le aziende cercano, soprattutto per i lavori ad alta qualificazione formativa, e ciò che poi trovano concretamente sul mercato del lavoro. Per analizzare le cause di questo problema si deve partire dalla scuola: l’accesso a tirocini professionalizzanti in Italia è ancora ben al di sotto della media europea soprattutto in riferimento all’accesso alla formazione imprenditoriale: in Italia accede ai tirocini solo 19,1% tra gli studenti di sesso maschile ed il 12,3% delle studentesse contro il 54,8% degli studenti spagnoli ed il 46,8% delle studentesse iberiche ed il 53,9% degli studenti ed il 38,3% delle studentesse tedesche (Fonte: OECD “Data, starting e business Anno:2017).
A questo tocca aggiungere che l’Italia è uno dei paesi con minor liquidità messa a disposizione per il sostegno delle nuove imprese e non solo per una mancanza di propensione al rischio ma soprattutto per le lunghe, poco oggettive e complesse procedure di accesso ai fondi. Dunque, la crescita attesa continua a farsi aspettare ed è ancora parecchio distante dai competitors europei ed extra-europei anche a causa di una pressione fiscale che rimane eccessiva nonostante le misure messe in campo dalla legislazione in materia di startup innovative.
Dipinto questo tragico bollettino di guerra dobbiamo smetterla di piangerci addosso!
L’Italia soffre un sottosviluppo infrastrutturale digitale ma è il Paese che sta investendo molto di più per la costruzione delle infrastrutture stesse ed è evidente che tra pochi anni potremmo anche superare chi, per ora, la fa da padrone. Il piano già annunciato da Enel per la cablatura di 224 città con fibra ottica e connessione ultra veloce sembra andare nella direzione giusta così come Cisco che ha già messo sul piatto oltre 100MLN. Anche Apple sceglie di investire in Italia con l’apertura a Napoli del suo App Developement Center.
Ancora, il nostro sistema di incubatori ed acceleratori di impresa è tra i più avanzati d’Europa e nonostante l’affliggente e costante campanilismo provinciale tipico di noi italiani aiuta, sviluppa e fa crescere startup innovative.
Permettetemi l’accenno al Consorzio ARCA, incubatore d’impresa dell’Università degli Studi di Palermo che si è già lasciato alle spalle quel campanilismo che citavo poc’anzi e continua a regalare enormi soddisfazioni eleggendosi capofila di numerosissimi progetti europei ed è senz’altro fulcro di innovazione per il Capoluogo siciliano e per l’ecosistema nazionale.
Bene, seppur non benissimo (perdonatemi la citazione trash), anche la politica: l’Italia è tra i primi ordinamenti, stranamente, a dotarsi di una specifica normativa sull’equity crowdfunding che consente alle nuove imprese di rivolgersi alla “folla” per attrarre capitali di rischio (la tendenza pare funzionare, infatti il solo primo semestre del 2017 è riuscito a garantire un afflusso di capitali pari a quello dell’intero 2016). E dunque la vita va così, le prospettive di crescita sono straordinarie e il capitale umano che si trova in Italia è di valore inestimabile e va capitalizzato, subito.
E se vi dicessi che l’Italia non è un Paese per Startup?
Forse dovreste rispondermi che dobbiamo lavorare, tutti, e crearla noi una strada che vada nell direzione dell’innovazione lasciando indietro la paura dell’ignoto.